ALBERGO CAPPELLO
(ex Casa Minzoni – ex Palazzo Bracci)
L’Albergo Cappello occupa uno dei più interessanti edifici del Rinascimento a Ravenna. E’ situato in Via IV Novembre al numero civico 41 (già Strada della Pescheria, poi Via Urbano Rattazzi) all’angolo con il Vicolo Casa Matha (già di S.Michele).
La tradizione popolare voleva che vi fosse nata Francesca da Polenta, moglie di Giangiotto Malatesta, la sventurata amante della Commedia dantesca, ma il palazzo di Guido Minore da Polenta, suo padre, era presso Porta Ursicina (ora Porta Sisi) e soprattutto la casa, attuale sede dell’albergo, è posteriore di circa due secoli. Risale infatti al XV Secolo all’epoca del dominio della Serenissima sulla città (1431 – 1509).
L’edificio è un perfetto esempio di architettura veneta classica: la calda tonalità del cotto è piacevolmente contrastata dal balconcino di marmo bianco a colonnine, con due pigne sovrapposte sui pilastri degli angoli, sostenuto da mensole ricurve. Anche la porta è cinta di marmo, con finissime decorazioni di stile rinascimentale e così pure gli stipiti delle finestre.
Come in altre case del periodo veneziano, il frontone di fianco, prospiciente al vicolo, non è acuminato ma spezzato. Nello spigolo d’angolo vi è un pilastro di marmo con capitello.
La casa fu eretta nel terreno su cui aveva dominio diretto il Monastero di Classe. Si legge che il 19 dicembre 1431 fu data a livello (un contratto simile all’enfiteusi) a Maddalena di Bartolomeo Gualdoni che decadde dall’investitura nel 1468. Il 28 dicembre dello stesso anno fu concessa a Giovan Francesco del fu Bertuzzo Bracci, dottore di legge in Ravenna, che nel 1440 era stato vicario di Ostasio da Polenta e il 26 gennaio del 1469 sarà creato conte palatino dell’imperatore Federico III. Alla sua morte, subentrò come erede, Paolo, filius animae dello stesso G.Francesco e a lui successe il 22 febbraio 1518 il conte Girolamo, figlio del fu cav. Marcantonio Bracci (figlio di G.Francesco).
Nel 1533 la casa passò a Maria figlia del cavaliere e conte Marcantonio Bracci e rimase certamente in proprietà alla famiglia Bracci fino alla prima metà del ‘500. In seguito, l’edificio appartenne ad altre famiglie nobili ravennati, tra le quali i Maioli Prandi. Il Bernicoli riporta che questa casa ospitò l’umanista forlivese Biondo Flavio nel periodo della sua permanenza a Ravenna.
E’ da ricordare, come curiosità, che prima del 1885, una porticina posta dove è attualmente il primo grande portone moderno, conduceva all’ufficio dell’Annona o Grascia.
Scrive Gaetano Savini che in questa casa, a pian terreno, vi siano stati anche una fabbrica di ombrelli e un magazzino.
Nel 1885 la casa fu adibita ad albergo (detto del Cappello o Il Cappello o Al Cappello) ad opera di Pietro Minzoni, padre di Don Giovanni Minzoni, l’arciprete ucciso dai fascisti per le proprie idee democratiche nel 1923 ad Argenta.
Sulla denominazione dell’albergo non si hanno notizie certe. Sta di fatto però, che con il nome "Cappello" o "del Cappello" o "al Cappello" si intitolavano in passato molti alberghi e locande in Italia e all'estero. "Cappello" era evidentemente diventato un nome classico per un albergo.
Una insegna "Cappello" o forse più propriamente "del Cappello" poteva anche essere interpretata come un segno di distinzione sociale in un periodo in cui non tutti portavano il cappello, pertanto un "Albergo Cappello" poteva designare un albergo i cui avventori appartenessero ad un ceto piuttosto elevato.
Proprio nel 1885 il corpo principale dell'antico edificio subì una completa ristrutturazione degli spazi interni, delle scale e dei solai, che permise di ricavare 24 stanze da letto da adibire all'attività alberghiera. Esternamente, le quattro grandi finestre originarie del pianterreno vennero sostituite per aprire tre ampi portoni; sempre in queglli anni, nel frontone sul vicolo, alcune finestrelle ad arco tondo acquistarono forme rettangolari.
Nel corso del XX secolo l'Albergo Cappello è stato sempre al centro della vita sociale e culturale di Ravenna; nelle sue sale si tenne il 26 novembre del 1948 la prima riunione che avrebbe portato il mese successivo alla costituzione del Rotary Club Ravenna.
Dal lontano 1885, per circa un secolo, si sono succedute diverse gestioni fino ad arrivare al 1984, quando Raul Gardini, ravennate e noto industriale degli anni ’80, acquistò l’edificio, in quel periodo in condizioni non proprio ottimali. Seguirono lunghi anni di laboriose e complesse ristrutturazioni che restituirono al palazzo non solo le antiche suddivisioni interne ma anche preziosità nascoste da secoli.
Sotto numerosissimi strati di calce, intonaci e rivestimenti parietali, ritornarono alla luce tracce di cicli decorativi del XVI secolo di pregevolissima fattura, che resero necessario ed urgente un articolato intervento di scopritura e restauro.
Il risultato è oggi visibile al piano nobile del palazzo, dove cinque sale (Salotto Blu, Salotto Rosa, l’ampio corridoio, la camera 106 denominata "Verso il blu" e la camera 103 "Sogno Amaranto"), hanno rivelato cicli decorativi di alta qualità formale, articolati negli affreschi parietali e nei soffitti lignei dipinti.
Tra le decorazioni dei soffitti lignei, che si sviluppano a bandinelle, tavolette e travi di ordinatura, foggiati secondo un gusto tipicamente quattrocentesco con soggetti profani e mitologici ed insegne araldiche, spiccano in particolare le decorazioni eseguite certamente in occasione di nozze: compaiono infatti tra gli stemmi delle famiglie Bracci e Rasponi, i ritratti di profilo di due giovani, tra motti amorosi e promesse di fedeltà.
Le decorazioni parietali, di gusto tardo rinascimentale, si rifanno al genere della grottesca, ma con una peculiarità tutta locale, sia per i soggetti che per le scelte cromatiche austere; in un’antica stanza del piano nobile, nell’attuale Salotto Blu, è presente inoltre un ciclo decorativo che si può indicare come una sorta di commistione tra una scena di genere e di paesaggio, illustrante le tecniche dell’arte venatoria, raccontate entro una struttura illusionistica adornata da cartigli. I lavori di restauro, ultimati nel 1993, hanno riportato agli antichi splendori il nobile edificio, dichiarato dalla Soprintendenza per i Beni Architettonici, “Monumento Nazionale”.
Oggi il Cappello è l’unica realtà alberghiera della fine dell’800 ancora in attività a Ravenna. Le ventiquattro stanze originarie dell’albergo del secolo scorso, dopo i restauri che hanno riportato l’edificio rinascimentale alle antiche superfici, si sono ridotte a sette. Stanze di pregio, alcune delle quali finemente affrescate, che permettono al viaggiatore di oggi di rivivere un’atmosfera particolare, quella della Ravenna di Dante e di Byron, di un edificio che, nonostante i cambiamenti, custodisce gelosamente i propri tesori d’arte.
All’ultimo piano del palazzo, occupato in passato da solai e camere ridottissime è stata ricavata una splendida sala conferenze, la cui peculiarità è il soffitto, interamente in legno, perfetta ricostruzione della chiglia di una barca.